GELOSIA E CONTROLLO NELLA RELAZIONE DI COPPIA

La canzone di Sara Mattei “2000 minuti” racconta una storia tristemente familiare a chi, come me, lavora quotidianamente con le donne vittime di violenza. All’inizio di molte relazioni disfunzionali c’è un’esplosione di attenzioni e affetto, che fanno sentire la persona amata e desiderata. Questo primo periodo, spesso, sembra perfetto, ma dietro questa facciata si nasconde una realtà ben diversa. Piano piano, le attenzioni si trasformano in controllo, la gelosia diventa soffocante e la libertà del partner viene limitata. È una gabbia invisibile da cui, una volta dentro, diventa molto difficile uscire.

Molte donne, anche nella nostra cultura italiana, inizialmente non riconoscono questi segnali di abuso. La violenza spesso non è solo fisica, ma psicologica, ed è mascherata da preoccupazione, amore o protezione. Le donne si abituano a questo controllo, giustificando il comportamento del partner o minimizzando le proprie sensazioni di malessere. Purtroppo, nella nostra società, la violenza domestica viene spesso trattata come un “problema di coppia”, riducendola a una dinamica privata, piuttosto che riconoscerla come una violazione dei diritti umani.

Nonostante esistano culture in cui la posizione della donna è ancora più subordinata, è importante ricordare che ogni situazione è diversa e che non tutte le famiglie o culture trattano le donne allo stesso modo. Tuttavia, ciò che accomuna le situazioni di violenza è il silenzio e la paura.

Nella mia esperienza, ho riscontrato che nel 90% dei casi, le donne trovano il coraggio di chiedere aiuto solo quando i loro figli vengono coinvolti o messi in pericolo. È a quel punto che si rivolgono a noi, o che le istituzioni intervengono per segnalare la situazione. Altrimenti, la storia si ripete. Il partner continua a svalutare la donna, a isolarla dai suoi amici e dalla sua famiglia, fino a farla sentire completamente sola e senza via d’uscita.
Spesso la mancata formazione ed esperienza nel lavoro con la violenza domestica porta professionisti e istituzioni a confondere la violenza di genere con l’alta conflittualità. Tale errore valutativo porta conseguenze deleterie sulla progettualità delle vittime (madri e figli) ascrivibili alla cosiddetta vittimizzazione secondaria.
La mancata considerazione degli elementi caratterizzanti l’escalationn di violenza e maltrattamento, e la trattazione del caso come se si trattasse di conflittualità o alta conflittualità espone le vittime a rischi concreti e ulteriori danni a lungo termine

Quando una donna decide di emanciparsi, di riprendersi la propria libertà, spesso il partner reagisce con violenza, perché perde il controllo. In troppi casi, purtroppo, ciò sfocia in femminicidio.

Il mio lavoro è far sì che le donne non si sentano mai sole, che trovino un sostegno e una via d’uscita da queste situazioni. La violenza non è mai giustificabile, e ogni donna ha il diritto di vivere una vita libera, piena e sicura.

Chiara Dominici